Tina Merlin – l’adolescenza

Forse noi siamo stati più fortunati della bambina che Tina Merlin fu. Viviamo in un tempo più mite, più tranquillo. Clementina era il suo nome ed era l’ultima di una famiglia numerosa. La mamma si chiamava Rosa, Rosa dal Magro. Era una contadina ed era rimasta vedova abbastanza giovane di Benvenuto Tacca dal quale aveva avuto due figli: Clemente, Mente era il suo soprannome, e un altro dal diminutivo più misterioso, Jijo, ovvero Luigi. Il primo marito lo aveva perso nel 1908 e quattro mesi dopo era andato via per meningite Clemente. Aveva appena due anni.
Suo padre si chiamava Cesare ed era un muratore.  Rosa lo aveva sposato a 26 anni il 18 marzo 1910. Lui di anni ne aveva 41 ed un passato di migrante in Italia e all’estero.
Era la piccola, prima venivano Ida, Giuseppe Benvenuto (Nuto), Remo, Antonio (ovvero Toni), Giuseppina (Pina) e poi lei Clementina, ovvero Tina. A differenza nostra la sua infanzia non è stata spensierata, a differenza nostra lei non riuscì a finire la scuola elementare, come era chiamata allora la Primaria, perché dovette cominciare a lavorare molto presto per aiutare la famiglia.
Noi siamo fortunati …. Possiamo studiare, conduciamo la nostra vita abbastanza serenamente … Tina perse i fratelli uno dopo l’altro vuoi per malattia, vuoi per incidente, vuoi per la guerra. Attraversò tutto questo dolore.
Clemente non lo aveva conosciuto, anche Benvenuto era stato portato via dalla spagnola nel 1920 prima che lei venisse al mondo ma gli altri …. gli altri ….  Luigi morirà per congestione dopo un bagno in un torrente della Liguria. Tina aveva allora quattro anni e per lei il fratellastro era come un padre. Di guerra, Seconda guerra mondiale, morirono due fratelli: Remo, che non tornerà mai più dalla Campagna di Russia, e Toni, capo partigiano al comando del battaglione “Manera”, ucciso in combattimento.

Ecco cosa racconterà Tina di quest’episodio: “Per fare prima attraversai i campi. Piovigginava. M’ arrampicai sul cancello, per scrutare attraverso la cella mortuaria. Distesi sul piano di marmo s’ intravvedevano due corpi, coperti da un lenzuolo. Dal corpo più vicino alla mia visuale fuoriusciva dal lenzuolo la curva d’un braccio, all’altezza delle spalle. Indossava una maglietta blu, con le maniche corte. Mi sembrò di svenir. Quella maglietta l’avevo portata io a mio fratello.  M’aggrappai alla folle speranza che l’avesse prestata a un compagno. Scavalcai il muro di cinta e saltai dall’ altra parte. La cella era chiusa. Attraverso la finestra potevo vedere le gambe nude dei due corpi uscire dal lenzuolo. Quello della maglietta aveva le gambe muscolose, da atleta: non avevo più dubbi, quello era Toni”.

A Toni è stata dedicata una piazza a Trichiana ed in memoria, il 28 agosto 1979, una medaglia d’argento al valor militare. Tina, allora 17enne, era stata staffetta partigiana nel gruppo di Toni. Ed in bicicletta la vedremo numerose volte, anche a gare partecipò in tempi più miti dopo la Seconda guerra mondiale.
E gli altri, tra fratelli e sorelle, li vedrà partire a cercar lavoro: Remo garzone in Piemonte presso famiglie contadine, anche Toni condividerà la stessa destinazione, e Ida a Milano. Anche lei andrà a finire a Milano nel 1938 dalla sorella.

Ma andiamo con ordine … Quando venne al mondo, i genitori di Tina erano abbastanza vecchiotti: il padre 57 e la madre 42. Era quest’ultima quella dal carattere più forte. Impaurita dalla paura dei debiti avvierà al lavoro i figli sin da piccoli. Lei stessa da piccola, a undici anni, era stata una “cioda”.
Cioda era il termine con cui erano soprannominate le piccole lavoranti che emigravano, per esempio in Trentino, per dedicarsi ai lavori agricoli ed altro. Il padre invece sempre in giro a far mestieri diversi. Svizzera, Germania, Austria, Boemia furono alcuni dei paesi in cui andò a fare il muratore e i soldi guadagnati andavano usati per pagare i debiti contratti per l’acquisto di quella casa sulla Marteniga a cui Tina, anni dopo, dedicherà il suo libro di memorie pubblicato un anno dopo la sua morte nel 1993.

Tina fece solo la scuola elementare ma non la concluse. Cominciò a lavorare sin da piccola per aiutare la famiglia.
I pomeriggi, infatti, andava già a servire come bambinaia presso il brigadiere della locale caserma dei carabinieri, spesso infatti sostituiva la sorella Pina quando si sentiva poco bene, e tutti i pomeriggi aiutava i genitori in campagna quindi non aveva tempo per studiare ed ecco spiegata la bocciatura in quarta elementare. “La bocciatura – scriverà – fu una vergogna. Tutti i miei fratelli ce l’avevano fatta ad arrivare al certificato”. Lei invece andrà a lavorare e quindi niente esame di quinta.
Nel settembre del 1938 infatti Tina raggiunge la sorella Ida a Milano. Quest’ultima si era sposata con un sarto ed all’inizio Tina fa le consegne per il cognato in giro per Milano. Poi passa a fare la bambinaia per alcune famiglie benestanti, dopo due esperienze non proprio felici capiterà in una famiglia che la tratterà con umanità e presso la quale si troverà molto bene. Nel 1942 però dovrà ritornare a Trichiana su richiesta della mamma Rosa spaventata dalla guerra che ormai divampava portandosi via le vite di tanti ragazzi a lei molto cari.
Molto spesso, nelle foto giovanili, troviamo Tina in bici e la bici le sarà molto importante quando entrerà nella Resistenza divenendo una staffetta e macinava chilometri su chilometri per portare qui e là i messaggi che le venivano consegnati. Una foto ce la mostra nel dopoguerra in una gara con il numero 12, finalmente in un momento più sereno e gioioso.
La bici l’aveva cominciata ad usare qualche anno prima, nel ’37, quando il fratello Remo, militare, era stato assegnato a Belluno e Tina gli portava la bici il sabato per consentirgli di guadagnare qualche ora in più nella libera uscita. Dodici erano quindi i chilometri che faceva per recarsi da Trichiana a Belluno e altrettanti per tornare a casa a piedi. Con quella bici robusta e pesante da uomo di allenamento ne faceva davvero tanto.
La guerra si portò l’8 settembre del ’43 e il sorgere della Resistenza antitedesca e questa vide nelle nostre zone distinguersi il fratello Toni che morirà tragicamente, come abbiamo detto prima, proprio pochi giorni prima che la guerra finisse: il 26 aprile del 1945 attaccando un presidio tedesco a Refos a Limana, non tanto distante da casa. Un lutto dal quale Tina non si libererà mai del tutto.

Quel era il nome da partigiana di Tina? Joe. Il 15 agosto 1952, come premio per le sue attività di partigiana, avrà la Croce al Merito di Guerra.

Dopo la guerra arrivano gli affetti. Nel 1949 sposò Aldo Sirena, già comandante di due brigate partigiane, soprannominato Nerone, ed ebbe un figlio di nome Antonio.
Aldo sarà importante nello spingerla a scrivere e le correggerà i suoi primi tentativi da scrittrice. E questa nuova strada intrapresa la porterà all’Unità e a divenire corrispondente per questo quotidiano per il Bellunese, alle denunce di quel mostro che si porterà via migliaia di vite, la diga sul Vajont. Ma questa è un’altra storia. Noi ci fermiamo qui.

Classe II E – Anno scolastico 2016/17